Giornata tipo

La Fondazione accoglie persone autosufficienti, parzialmente autosufficienti, non autosufficienti. La Madonna della Bomba è casa per Maria, per Rosa, per Aurelia, per Luigi. Viviamo una giornata insieme a loro.

 

La giornata di Rosa

Sono le sei del mattino e Rosa si sveglia, gli occhi immediatamente vispi e pronti ad accogliere tutti gli stimoli intorno a sé. Raccoglie ogni sensazione, trasformarla in parole è, però, piuttosto difficile. Gli operatori sanitari hanno già fra le mani tutto ciò che occorre per andare a fare il bagno in doccia barella e Rosa li incita a fare in fretta con quel suo ritornello che l’accompagna costantemente “Dai, dai”. Sembra avere sempre fretta Rosa eppure non ha nessun appuntamento in agenda, l’eco della sua vita dedita alle faccende di casa le rimanda incessantemente la necessità di correre e di preparare, imbastire la tavola, cucire, lavare. Dopo il bagno, infatti, gli operatori la fanno accomodare al tavolo e dispongono pezze, stoffe e cerniere che Rosa sistemerà, piegherà, cucirà.

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Ogni movimento è accompagnato da “Dai, dai”, come quando vorrebbe andare a riordinare i panni sulla mensola. L’energia si protrae sino alle gambe ma necessità di un supporto. A metà mattina il fisioterapista canalizza la sua forza negli esercizi con la palla, alle parallele così che possa mantenere le sue abilità motorie. La giornata di Rosa è maggiormente ricca di impegni, in linea con il suo stile di vita prima dell’ingresso in struttura e in base al suo bisogno di sentirsi impegnata. Torna in salone ed è tempo di dedicare un po’ di attenzioni alla sua amata “Quellalì”. E’ la sua bambina, la bombola della doll therapy, che è stata inserita nel suo programma di intervento personalizzato. Ha scelto un nome bizzarro ma è così che la chiama mentre la pettina e le propina degli avanzi della sua merenda. Rosa racconta di tutto a “Quellalì”. Le racconta persino le marachelle di quando era bambina. La psicologa si siede spesso accanto a lei e tramite le storie narrate e le cure fornite alla bambola riesce a trovare una porticina di accesso per il suo mondo. Pranza in fretta Rosa e subito, come se fosse nel pieno di una gara, muove le ruote della sua carrozzina e si dirige verso gli uffici. Incontra l’animatrice e la saluta con grande gentilezza, poi va verso il solito mobiletto e tira fuori tutto ciò che è contenuto nei cassetti. Gli operatori sanno oramai che quella è la sua attività e hanno liberato il mobile da tutti gli oggetti potenzialmente pericolosi. Cerca suo fratello, anche lui vive in struttura, dialogano un po’ ma i loro ritmi sono diametralmente opposti. Rosa si stanca e corre verso la sala delle attività, spera sempre che ci sia una festa. Quando qualcuno festeggia il compleanno arrivano i musicisti e si balla nell’ampio salone. Rosa guarda la psicologa e le animatrici e con uno sguardo che unisce un’imposizione a una cordiale richiesta urlando “Dai, dai” perché desidera ballare e allora a turno tutte le fanno da cavaliere e lei sorride, ride, poi stanca chiede di sedersi anche se il suo piede oscilla ancora a ritmo di musica. Il flusso inesauribile di energia inizialmente stremava gli operatori ma costruire la giornata e le attività di Rosa ha permesso di lasciarla fluire senza comprimerla, senza annichilire gli operatori. Rosa dopo cena sembra aver consumato le batterie, abbraccia “Quellalì”, le accarezza i capelli e si addormenta. Gli OSS le spengono la luce principale e la lasciano riposare sotto la luce fioca dell’abat-jour. Mentre dorme, gli operatori ne approfittano per prendere gli abitini della bambola e per portarli in lavanderia. Il personale ausiliario è attento anche agli accessori di “Quellalì” che diventa così importante da prendere un posto nel cuore e nei pensieri anche dei dipendenti.

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La giornata di Paolo

Per Paolo la Fondazione Madonna della Bomba è la sua casa da moltissimi anni. Il suo appartamento al terzo piano è fornito di tutti i confort, cucina, salone, ampio bagno. In totale autonomia, dopo essersi allacciato le scarpe con la sua solita flemma, scende in sala mensa per sorseggiare un buon caffè. Ama i croissant alla crema e, per questo motivo, si concede il lusso una volta alla settimana di uscire e di andare al bar. Al suo ritorno, basta guardare la macchia di zucchero a velo sul maglione per capire che quello è il giorno della “colazione extra”.

Non torna mai a mani vuote, ne porta qualcuno anche al personale amministrativo che incontra ogni giorno, che riconosce come famiglia. Legge il quotidiano acquistato e si rifugia in camera per sedersi sulla poltrona, regalo di natale dei suoi cari amici. Legge racconti fantasy e viaggia su quel battello di parole. Prima di pranzo raggiunge l’infermeria, deve tenere monitorata la glicemia e per la stessa ragione fa spesso delle passeggiate sul Facsal. Si sente molto fortunato ad abitare a pochi passi da quello che in città viene definito “pubblico passeggio”. Talvolta Paolo cena con alcuni ex colleghi nel suo ristorante preferito fuori città; una volta terminata la serata viene riaccompagnato e grazie al suo badge può entrare da solo, come a casa.

La giornata di Nella

La sua voce squillante riecheggia nei corridoi. È Nella che augura il buongiorno a tutti gli operatori, lì riconosce dai passi, lì riconosce con la sua sensibilità, dietro gli occhiali scuri per la sua cecità. Nella non lascia mai la sua borsetta, la tiene stretta fra le mani e gli operatori socio sanitari sanno perfettamente che prima di accompagnarla in sala per la colazione devono pettinarla con la riga sul lato destro come piace a lei.

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Nella ama le storie e con il suo carattere affabile e solare è riuscita a trovare presto persone con le sue stesse passioni, persone che vengono a trascorrere sempre del tempo insieme a lei. Nella è una di quelle donne che incontri una volta e non lascia più i tuoi dolci pensieri, ti rimane impressa. È per questo che ha tante amiche, vengono a chiacchierare con lei, leggono per lei romanzi. Lei china la testa indietro immaginando probabilmente tutti i luoghi e gli avvenimenti narrati. I numerosi amici portano spesso molti dolci ma subito l’infermiera con un’affettuosa ma rigida affermazione le ricorda che non può esagerare con gli zuccheri a causa delle sue patologie. Dopo pranzo, riposa un’oretta al terzo piano, la sua stanza è la stessa da anni oramai e lei la conosce minuziosamente, l’ha memorizzata sulla pelle e la sente sua, tiene tutto nei suoi posti, il pettine sulla mensola in basso, nel comodino il lettore MP3 che le hanno regalato le animatrici e la psicologa per ascoltare gli audiolibri. Nella è una donna arguta e determinata quando qualcosa non va fa sentire la sua voce e sa di poter trovare la porta della direzione sempre aperta, pronta ad ascoltare suggerimenti ed eventuali critiche. Nei giorni d’estate sta sempre sul terrazzo in trepidante attesa, soprattutto quando in città c’è la fiera. Ama uscire, sentire il brusio della folla intorno, annusare i profumi che provengono dalle bancarelle. Chi lavora alla fondazione riconosce subito il volto di Nella, quel sorriso trattenuto che proporrà di andar sul viale. Nella va a dormire tardi, prima ascolta un po’ di musica alla radio potrebbe ascoltarla per ore ma gli operatori le augurano buona notte e la invitano a prendere sonno. Accanto a lei una foto con alcune infermiere, le sue “carissime ragazze” dell’ufficio amministrativo, le ausiliarie, gli operatori socio-sanitari; la foto la vede con gli occhi del cuore e ricorda il giorno in cui ognuno di loro è stato assunto. Nella è sempre stata un’accogliente e incantevole guida, facendo sentire tutti a casa.

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La giornata di Aurelia

Ogni mattina alla stessa ora si sente il suono del phon al secondo piano e tutti sono certi che Aurelia sta chiedendo di avere una piega, con un po’ di difficoltà utilizzando i pochi vocaboli rimasti impressi. Era così attenta al suo aspetto, curava con precisione la sua acconciatura e sceglieva con grazia i suoi capi di abbigliamento.
Scruta tutto con attenzione e quando vede una tasca scucita nella divisa di un operatore, borbotta e cerca subito di porre rimedio muovendo le mani come se cercasse un ago.

Aurelia ha perso molte abilità che le permettono di essere autonoma nella cura del sé e nella gestione delle sue attività. Per questa ragione, gli operatori socio-sanitari provvedono al suo benessere, sostituendosi e supportandola in tutto. I suoi occhi raggianti emettono ancora quella forza austera che viene fuori dalle sue affermazioni decise e coincise con cui chiede che qualcosa venga fatta “a suo modo”, come lei preferisce. Ogni giorno alle 17.00 arrivano le sue figlie Rita e Lina, ogni giorno scelgono il tavolo sotto la finestra per fare merenda. Per Annamaria e Silvia la Fondazione è divenuta la seconda casa, i rapporti con il personale sono divenuti per loro trama e sostegno di questo cambiamento della propria madre. Si sentono coinvolte nella vita di struttura e un sorriso condiviso diviene motivazione per provare a esserci, a entrare in sintonia con il proprio familiare in un modo differente. Aurelia adesso è stanca, socchiude gli occhi. Le sue figlie le danno un bacio in fronte e le augurano buona notte. Dopo la cena, gli operatori socio-sanitari preparano Aurelia per la notte e le infermiere somministrano la terapia ed eseguono le medicazioni.